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martedì 11 ottobre 2016

LA MORTE MODERNA

Di Carl-Henning Wijkmark

Con la Postfazione di Claudio Magris

Edizione del 2008
Ed. Iperborea (120pp.)

Un testo apparso nel 1978, che l’editore ripropone per l’attualità dei temi trattati. Colpisce che il tema dell’eutanasia “la buona morte” viene trattato dall’autore, già nel 1978, nei medesimi termini in cui oggi alcuni paesi europei hanno legittimato la discussione e legalizzato il suo esercizio.
Wijkmark colloca il suo racconto in Svezia: il paese vive una drammatica crisi demografica ed economica; gli anziani da assistere e a cui pagare le pensioni sono tantissimi.

Il volume si apre con l’apertura del convegno che vuole ragionare sul progetto “USTAU” (Ultimo Stadio della vita Umana). Il convegno si svolge a porte chiuse, i partecipanti sono scelti accuratamente, appartengono ai campi della scienza, economia, medicina e religione.
L’argo
mento del convegno è top secret: i partecipanti saranno chiamati a ragionare e a decidere delle sorti di malati, handicappati, anziani; insomma, di coloro che ormai sono gli “improduttivi” della società, in una visione di massa (e non dal punto di vista umano!).
Nonostante l’autore fa riconoscere ai convegnisti che “Morire è considerato innaturale”, afferma anche che ci sono troppi anziani e pochi bambini, ergo la popolazione attiva è infinitamente inferiore a quella inattiva, composta da pensionati e non autosufficienti. In più, essendo reduci ormai da anni di spot sulla necessità di vivere facendo sport, fitness, oggi i vecchi erano persone in gamba e in salute, con aspettativa di vita oltre gli ottant’anni.
La società, in conseguenza di questa realtà, paga in termini di disoccupazione, di spese per il welfare, e soffre per una tassazione alle stelle.
Nel convegno si discute e si riflette su una soluzione da proporre e praticare.
L’incipit del ragionamento potrebbe filare, in un contesto razionale, ma decisamente inumano:
Tutti noi nasciamo alla stessa età, perché non dovremmo anche morire alla stessa età?

Così, a turno, gli esperti prendono la parola animati dall’idea di uscire da un'impasse dovuta ad ideali e valori quali “sacralità”, “assoluto”, “intangibilità”, che sono ormai antiche parole e, come tali, retaggi del passato, non più adatti a fare i conti “economici” con l’oggi.

«Ciò che si vuole è produzione, non civiltà. Cose, non esseri umani», dice uno dei partecipanti al simposio.

In effetti, si osserva, si è riusciti a far accettare la pianificazione delle nascite attraverso l’aborto, cosa potrebbe fermare una pianificazione dei decessi? L’unico scoglio è nel far passare con i dovuti termini l’idea della morte moderna.

Insomma, si arriva a discutere su come introdurre una eutanasia di stato garbata, ragionevole, talmente naturale che l’anziano o il malato la vedrà su di sé come un obbligo volontario per il bene della società, una volta raggiunta una certa età.
Infatti, si fa avanti la teoria del valore del primato sociale su quello umano: meglio che muoiano pochi vecchi malati, che crolli la società nel suo complesso.

Il titolo della postfazione di Claudio Magris offre uno spunto di riflessione, bilanciando un po’ dando il nome giusto ai termini: “Democrazia della morte – Morte della democrazia”.

Nella sua analisi, Magris afferma che, a voce di una sedicente democrazia, essa esige la libertà del cittadino e deve agire secondo convinzione. La convinzione dei partecipanti al convegno è che bisognerà convincere anziani e malati - costosi per una società così in crisi – a farsi da parte, richiedendo di morire. Infine, l’autore fa notare come con tanta facilità si senta parlare di un’azione fatta con buoni sentimenti verso i malati e sofferenti e di misericordia verso quei genitori che dovrebbero portare il peso di un amore parentale gravato dal senso di colpa per aver fatto nascere un figlio malato.

Un testo duro, che parla e infonde uno scossone anche alla società di oggi con le sue provocazioni, precorrendo i tempi rispetto ai dibattiti e alle leggi introdotte già in alcuni paesi, ma che in parte fa ricordare anche tristi e tragici trascorsi della storia, come gli atti terribili operati dai nazisti, prima e durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale nei confronti dei disabili e dei malati in genere, con l’oppio del miti della razza.

Un testo non semplice da afferrare e discernere, per non cadere in semplificazioni o giudizi semplicistici.


Germano Baldazzi
 Roma, 11 ottobre 2016

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