Viva gli Anziani!

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martedì 13 settembre 2016

STRANIERI ALLE PORTE

Di Zygmunt Bauman

Edizione del 2016

Ed. Laterza (116pp.)

"Noi siamo un solo pianeta, una sola umanità. Quali che siano gli ostacolo, e quale che sia la loro apparente enormità, la conoscenza reciproca e la fusione di orizzonti rimangono la via maestra per arrivare alla convivenza pacifica e vantaggiosa per tutti, collaborativa e solidale. Non ci sono alternative praticabili. La 'crisi migratoria' ci rivela l'attuale stato del mondo, il destino che abbiamo in comune". (dalla IV di copertina)



L’autore, grande intellettuale e profondo conoscitore della società, dopo aver analizzato sotto diversi aspetti con diversi studi i movimenti nella modernità e nella società contemporanea, con questo nuovo lavoro si appresta a fare il punto sulla questione della migrazione e della reazione della società a questo fenomeno ormai ineludibile. L’incipit è chiaro:

Le migrazioni di massa non sono certo un fenomeno nuovo: hanno accompagnato tutta l’età moderna fin dai suoi albori”.

I fattori che provocano le migrazioni sono essenzialmente due: il mondo dell’impresa nel mondo occidentale desidera e accoglie possibili lavoratori e manodopera a buon mercato, ma, d’altro canto, la popolazione su cui grava una precarietà dovuta ad una persistente crisi economica, risente di una incertezza nella speranza che le cose possano migliorare ed è preoccupata per una maggiore concorrenza sul mondo del lavoro.
Inoltre, allo stato attuale, non ci sono elementi per prevedere un decisivo arresto delle grandi migrazioni, o che vengano meno gli stimoli per chi si vede costretto a lasciare la propria terra.Negli ultimi anni vi è stato un forte aumento di profughi e richiedenti asilo, dovuto al moltiplicarsi di stati - i cui regimi dittatoriali o democratici sono “falliti” o “fatti fallire” - come di territori senza stato e senza legge, con guerre estenuanti e senza fine. E questo sono i danni collaterali delle malaugurate e disastrose campagne di guerra in Afghanistan e in Iraq, che hanno – si - deposto dittatori, ma hanno anche consegnato i paesi all’anarchia e al mercato delle armi senza controllo, nelle mani di mercenari senza scrupoli, talvolta con il sostegno di governi disposti a tutto per far aumentare il PIL.

Oltre a chi fugge dalle guerre e persecuzioni, si aggiungono i cosiddetti migranti economici, cioè, coloro che preferiscono abbandonare tutto, pur di trovare una terra dove poter vivere con dignità.
Nei primi cinquanta anni del XX secolo, i migranti sono stati circa 60 milioni, e dal 2000 al 2010 la tendenza non è certo diminuita. Senza interventi, secondo gli esperti, il numero dei migranti potrebbe aumentare fino a raggiungere un punto di equilibrio in cui livelli di benessere tra i settori “sviluppati” e quelli “in via di sviluppo” del pianeta globalizzato, si allineino. Ma, per arrivare ad un simile risultato occorreranno decenni, con tutti i possibili imprevisti della storia!

I profughi sono sempre “stranieri”, etimologicamente, la parola deriva da “strani” e, come tali, gli strani provocano ansia. La causa di questo processo è dovuta al fatto che sugli stranieri sappiamo troppo poco e non sapere come comportarsi in una situazione, è una delle principali cause dell’ansia e della paura.
Tali sentimenti fanno il gioco, la fortuna della xenofobia e del razzismo: la conseguenza sono i successi elettorali di partiti e movimenti xenofobi, che ricevono voti dalla parte derelitta, impoverita ed esclusa della società, la quale vede nei diversi una causa ulteriore della loro miseria.  

L’autore osserva come, per una sorta di

logica perversa (…), quei nomadi ci ricordano in modo irritante quanto vulnerabili siano la nostra posizione nella società e la fragilità del nostro benessere”.

Il loro involontario messaggio, cioè, che siamo così impotenti davanti ai rovesci della storia, viene alleviato dalla collera che riversiamo nei confronti dei disperati che affollano le coste, collera che allenta per un attimo il senso di impotenza, ma che non risolve, né la loro disperazione, e nemmeno la nostra frustrazione dovuta alla crisi o all’impotenza verso una reazione alla crisi.

Bauman rileva:

Una politica basata sulla reciproca separazione e sul mantenimento delle distanze; una politica che se ne lava le mani, non porta da nessuna parte se non al deserto della sfiducia”.

E ancora:

Queste politiche suicide in realtà accumulano la dinamite delle future deflagrazioni”.

Con la lucidità che lo caratterizza nell'analizzare i fenomeni sociali, aggiunge,  che

la sola via d’uscita dai disagi di oggi e dalle disgrazie di domani passa per il rifiuto delle insidiose tentazioni di separazione”.

La strada non è né breve, né semplice, anzi, con tempi lunghi, irrequieti e laceranti, ma non si intravede una via più comoda, meno rischiosa.
Il primo ostacolo da aggirare sono il rifiuto del dialogo e il silenzio, figli di un’indifferenza letale per tutti.

L’autore, ora, si sofferma saggiamente sulle illuminate e sapide parole di Papa Francesco, sul vizio o peccato dell’indifferenza, riportando le parole pronunciate l’8 luglio 2013, in occasione della sua visita a Lampedusa proprio per scuotere le coscienze e le mani dei potenti, dopo una serie di tragici naufragi nel Mediterraneo.

Papa Francesco a Lampedusa ha detto, tra le altre cose:

… la cultura del benessere ci rende insensibili alle grida degli altri, viviamo come in bolle di sapone e ci fanno cadere nella globalizzazione dell’indifferenza”.

Oggi, una delle parole d’ordine, spesso imprescindibile, è “sicurezza”. I politici facendosi forza con l’ambiguità nel significato della parola, spesso utilizzano a loro favore il termine sicurezza, gonfiando l’inquietudine che monta per poi intervenire con i “bicipiti” per coprire l’inadeguatezza nella soluzione di compiti e problemi complessi.L’autore conia un termine molto efficace: “securitizzazione”. 

Essa è come un

trucco da prestigiatore; consiste nel dirottare l’ansia dei problemi i governi non sanno risolvere ad altri problemi cui i governi possono quotidianamente mostrarsi intenti a lavorare alacremente”.

Cita la soluzione ungherese di Orban ai migranti, cioè quella di erigere un muro di filo spinato ai confini, che ha trovato favorevole la popolazione al 68%.Un opinionista USA ha sentenziato:

Grandi bugie generano grandi paure, che generano grandi desideri di grandi uomini forti”.

Inoltre, la politica di “securitizzazione” aiuta a tacitare preventivamente i rimorsi di coscienza che ci assalgono, riclassificando i migranti come possibili terroristi, superando così lo scoglio di una responsabilità morale, e sottraendo l’opinione pubblica dallo spazio della compassione e dall’istinto di cura.Il pensatore polacco va oltre e cita un avvertimento che è anche un appello:

L’arrivo massiccio di migranti avrà un impatto positivo, stimolando l’economia. Essi vogliono quello che vogliamo tutti: ‘qualcosa di meglio’. In realtà queste persone, anziché prendere, daranno un contributo alla nostra economia”.

La “securitizzazione” presta il fianco ad un’altra critica: essa fa il gioco di chi recluta i terroristi, in quanto il Daesh ha reclutato ben cinquemila europei nelle sue fila.
Chi sono?
Provengono da contesti di emarginazione (come nel caso degli attentati di Parigi). 

Si considerano vittime della sorte e il Daesh esercita fascino su di loro, per la sensazione finalmente di contare per qualcuno.In sintesi, chi identifica il problema migratorio con una eventuale scarsa sicurezza farà il gioco dei terroristi, infiammando sentimenti anti-islamici in Europa. Inoltre, spingerà la società verso la logica del “tanto peggio, tanto meglio”, facendo pendere di più la bilancia verso la scelta per la Jihad; infine il terzo obiettivo è far leva sulla dinamica della stigmatizzazione, cioè, confermare l’anomalia di chi è diverso da noi “normali”.

Chi subisce il marchio può avere due reazioni: o riceve un doloroso colpo al rispetto di sé con conseguenze senso di umiliazione; oppure leggere lo stigma come affronto lesivo ed infamante. Insomma la tendenza alla “securitizzazione” del problema migratorio porta a diverse conseguenze negative, potenzialmente micidiali.
Qualcuno ha sottolineato le possibili conseguenze nel lanciare un simile messaggio; cioè se l’America si chiudesse ai musulmani, il messaggio che ne salirebbe, avrà un grave effetto domino con serie implicazioni.
Per evitare di fare il gioco del Daesh bisognerà respingere le posizioni dei “noi o loro”, frutto di una islamofobia, che contribuisce invece alla radicalizzazione di giovani musulmani.

Un osservatore citato dall’autore conclude il suo pensiero asserendo che

Anziché far guerra al Daesh in Siria e in Iraq, le principali armi dell’Occidente contro il terrorismo sono gli investimenti sociali, l’inclusione sociale e l’integrazione a casa nostra”.

L’osservatore Robert Reich afferma che nella Campagna Presidenziale USA si aggira lo spettro dell’uomo forte, e riveste i panni di Donald Trump, nato dall’ansia che sì è impadronita della grande classe media americana, quello di finire in miseria, ma confidare nell’opera di un uomo forte è un

sogno da allucinazione e Trump usa ‘inganni da illusionista”,

chiosa l’osservatore e fa leva su una riconversione di una paura “cosmica” dell’uomo in paura “ufficiale”, reale del potere costruito dall’uomo ma incapace di opporvisi e i poteri terreni traggono alimento e forza da ciò. Ma vi sono due nuovi elementi che portano a riconsiderare il modello appena indicato:

l’individualizzazione che dice a ciascuno di affrontare da sé e trovare le soluzioni ai problemi dell’insicurezza ed incertezza della vita”.

Questo modo di agire della società porta allo sviluppo e ad entrare in quella che viene definita “società della prestazione”, con le conseguenze che ne derivano, prima delle quali, la malattia della depressione, dovuta ad un eccesso di responsabilità e di obblighi dovuti all’imperativo della prestazione. 

Si delinea così la società della prestazione individuale, imperniata su una “cultura individualistica”, e la responsabilità di una vita vivibile viene caricata sulle spalle del singolo, non importa se è fragile o senza strumenti per affrontarla.
Partendo da qui, il passo per arrivare alla paura di essere inadeguati, non adatti per affrontare la società della prestazione, diviene veramente breve.

Il secondo elemento è l’erosione delle sovranità politiche, perché alla globalizzazione del potere non segue una globalizzazione della politica.
Già 25 anni fa E. Hobsbawn scriveva:

Xenofobia e razzismi sono sintomi non terapie, nelle società contemporanee, comunità e gruppi etnici sono destinati a coesistere, al di là della retorica del sogno del ritorno alla nazione esente ma miscugli razziali”.

La tentazione che sale dalla pancia è quella

che le società in crisi ripongano le speranze in un salvatore, in un uomo della provvidenza che propugni in nazionalismo massiccio e bellicoso, richiudendo le porte ormai scardinate”,

osserva Bauman.
Oggi viviamo in un mondo cosmopolita, ma manca ancora una coscienza cosmopolita e Bauman, citando ancora Robert Reich, bolla come

sogni da allucinazione le promesse di Donald Trump o come inganni da illusionista, quelli proibendo l’arrivo di immigrati”.

Il problema è che queste scorciatoie sibilline, sono, si, fuorvianti dalla realtà, ma non per questo meno seducenti, e con la parola promettono che loro saranno l’alternativa e la soluzione ai loro problemi.Storicamente, le prime migrazioni sembra fossero limitate al continente africano, ma alcuni discendenti dell’homo sapiens emigrarono verso il Medio Oriente e da lì si dispersero verso gli altri continenti. Essi erano dei migranti fino al midollo, era parte integrante del loro modo di vivere.

La Terra è stata completamente colonizzata e ogni uomo ha potenzialmente la possibilità di entrare in contatto con uno qualsiasi dei sette miliardi di abitanti della Terra.
Possiamo condividere ogni cosa creata con ciascuno, ma anche imporle loro: diviene così una sfida globale che può essere anche quella di una “vita comune o di morte comune”.
È il bivio dell’esistenza: o il benessere fondato sulla collaborazione o l’estinzione collettiva, ma non possediamo ancora la consapevolezza della interdipendenza.L’autore, nella sua riflessione cita più volte Kant, nella sua opera “Per la pace perpetua”:

il diritto, e perciò ospitalità significa il diritto di uno straniero di non essere trattato ostilmente quando arriva sul suolo di un altro (…). Non è un diritto di essere ospitato, ma un diritto di visita, che spetta a tutti gli uomini (…) per il diritto al possesso comune della Terra e non potendo disperdersi all’infinito, devono infine sopportarsi a vicenda”.

Kant chiede che all’ostilità subentri l’ospitalità.
Purtroppo, dopo due secoli e guerre sanguinose, ancora esitiamo ad accogliere l’appello di Kant all’ospitalità.Nel proseguire la riflessione di Kant, l’autore di sofferma all’analisi amara che Hannah Arendt compie sui risultati non raggiunti con le tesi kantiane: anzi, negando la validità dei principi morali, in quanto tali, creando così

un conflitto tra la natura incondizionata della responsabilità morale e la sua negazione o sospensione nei confronti di alcuni esseri umani, si arriva alla produzione di una dissonanza cognitiva. (…) Il concetto di dissonanza cognitiva aiuta a spiegare le altrimenti incomprensibili divagazioni europee sul tema dei rifugiati che chiedono asilo”.

Inoltre, si opera una loro disumanizzazione utile per screditare i loro diritti escludendoli dai diritti di avere riconosciuti i diritti umani, con tutte le conseguenze che ne derivano.Aggiunge Bauman che sul pianeta si stima che i profughi siano duecento milioni e la finalità di creare due mondi separati potrebbe prevalere:

un mondo pulito, sano e visibile” e “un mondo residuale, i cosiddetti ‘altri’ oscuri, malati, invisibili. E i campi saranno il parcheggio, custodia di gruppi indesiderabili di ogni sorta”. 

E quegli “altri” saranno esclusi dallo sguardo, attenzione e coscienza dell’Occidente.Chi riesce a passare da un mondo all’altro, potrà farlo solo attraverso

corridoi, lettori di impronte digitali, telecamere, rilevatori di virus”.

Le prospettive per il futuro saranno quelle o di una guerra non convenzionale per ridurre i diritti dei migranti e mantenerli in una condizione di insicurezza e di vulnerabilità, altresì nella gestione della migrazione si trovi consenso un approccio incentrati sui diritti.Bauman parla di una europeizzazione della questione migratoria, gestita dalla UE che ha fallito, in quanto su un milione di profughi giunti in Europa, sono stati reinsediati solo 160 unità.

L’autore nel concludere il suo lavoro, ritorna a citare le sue guide che lo hanno accompagnato nella riflessione: Kant e Arendt hanno guidato l’autore nella presente riflessione, nel non cadere nel rischio delle semplificazioni nel problema delle crisi migratorie, il cui pensiero spesso, invece genera paura istintive, paure che, però, entrano in conflitto con un impulso morale spinto dalla visione delle miserie umane.L’Occidente ricco si sente oggi vittima di un destino avverso: quello di avere tanti disperati alle porte che bussano per non soccombere alla sorte avversa. Loro possono incarnare perfettamente il soggetto, la causa del vittimismo del nord ricco, se non fosse per la presenza di una forza di segno opposto: il fenomeno dell’incontro che porta ad un dialogo mirato, teso ad una comprensione reciproca.
Bauman, nel dar forza al suo ragionamento, cita la filosofia di Gadamer, ripresa da Jeff Malpas:

Comprendere significa definire un quadro o ‘orizzonte’ comune”.

Da qui scocca la scintilla che porta alla conversazione, a familiarizzare con i rispettivi mondi vissuti.
Per Bauman, la conversazione è la via maestra che conduce al reciproco comprendersi, rispettarsi e accordarsi, unico modo per giungere ad una convivenza pacifica.Questa è la via maestra che il grande pensatore polacco ci suggerisce al termine della sua profonda riflessione.

Germano Baldazzi 

Roma, 13 settembre 2016


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